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09/03/20 Civic Technology # ,

Il Coronavirus e la curva di apprendimento collettivo

Il Coronavirus e la curva di apprendimento collettivo

Mi piace pensare all’emergenza Coronavirus di questi giorni come a un’opportunità, e non solo come a una terribile sfida che abbiamo di fronte.

Così come gli italiani si ritrovano migliori durante ogni tipo di calamità, anche questa sfida può essere una modalità per forzarci a migliorare e imparare.

Mentre il virus di sta diffondendo in modo (secondo alcuni) esponenziale, anche la nostra curva di apprendimento deve seguire lo stesso, esponenziale, andamento. Noi – singoli individui, il “sistema-paese”, le istituzioni – possiamo e dobbiamo però essere più veloci a imparare.

La curva di apprendimento (learning curve) mette in relazione l’esperienza (asse X) con le “cose apprese” (asse Y). Ora abbiamo poco tempo per imparare rapidamente dall’esperienza collettiva modalità di lavoro, comportamenti e atteggiamenti sociali che possano essere utili a “rallentare” la curva di diffusione del Coronavirus, che sta salendo troppo in fretta. Delle quattro curve qui sotto, dobbiamo tentare la seconda.

Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Learning_curve

Di seguito alcuni esempi, piccoli e grandi, di cose che stiamo imparando, ma che dobbiamo imparare più rapidamente:


1. Usare le tecnologie per il bene comune

All’inizio dell’emergenza si è parlato tanto di lavoro e studio a distanza, che per un paese non tecnologicamente avanzatissimo come l’Italia è già una gran sfida, sopratutto per il settore pubblico.

Tante aziende, amministrazioni, scuole e università si stanno organizzando e stanno imparando a usare software e modalità organizzative del tutto nuove, passando da semplici sperimentazioni a uso massivo e pervasivo. Era ora, dicono gli addetti ai lavori. Una sorta di “swich-off” imposto da fattori esterni.

Ottimo, ad esempio, che il Ministero dell’Innovazione abbia proposto a tanti fornitori privati di tecnologie di mettere a disposizione servizi e applicazioni gratuiti nelle zone rosse dell’emergenza. La campagna si chiama SolidarietàDigitale.

Un ulteriore fronte su cui abbiamo molto da imparare è l’uso delle tecnologie da parte dei governi per fronteggiare la crisi attraverso l’analisi e la pianificazione degli interventi da mettere in campo.

La Cina e la Corea del Sud, ad esempio, stanno mostrando come il tracciamento delle persone attraverso il cellulare può aiutare in maniera sostanziale a monitorare l’evoluzione del contagio. Nel rispetto della privacy, ovviamente.


2. Diffondere e usare open data per informarsi e approfondire

La solita piccola comunità di attivisti e addetti ai lavori nel campo degli open data ha chiesto da subito che i dati sul contagio fossero resi disponibili in formati utili ad un loro utilizzo per fare mappe, infografiche o modelli matematici, come quelli usati nelle discipline epidemiologiche per stimare la diffusione dei virus.

Nemmeno il tempo di chiedere, e in pochi giorni il Dipartimento della Protezione civile ha rilasciato un “cruscotto”, che ha il vantaggio di avere collegato una serie di dati in formato open.

Questo rende doppio il servizio pubblico: un sito già fruibile (e come tutte le cose fatte al volo, ovviamente migliorabile), e i dati su cui basare nuove analisi e servizi da parte di chiunque voglia cimentarsi in migliori analisi e visualizzazioni del fenomeno. Anche qui, tutto da imparare da questi dati.

Mi sembrano molto interessanti le analisi – molteplici, partite in parallelo – che provano a stimare la curva del contagio sulla base delle serie storiche attuali, anche se sono passati solo pochi giorni dall’inizio della diffusione del virus. Qui un esempio.


3. Migliorare il nostro senso civico

Di esempi ce ne sarebbero a tonnellate e non mi dilungo. Perlopiù riguardano la comprensione della malattia, del nostro ruolo nella società, delle ragioni alla base dei provvedimenti presi. Tutto questo influenza ed è alla base dei nostri comportamenti individuali.

Uno su tutti: quale migliore occasione per riscoprirci parte di una società complessa e globalizzata? E fare esperienza diretta di come a problemi globali non possano che corrispondere risposte di policy di livello sovranazionale. La nostra Unione Europea serve (servirebbe!) anche a questo.

Il grafico nell’immagine è di Alessio Traficante

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